Kamas’urta

28 Ott

Particolare di vaso greco

Lambisco le guance di lance sottili. Dismembro il costato, trapunto e filato, con dita ridenti distese e leggere. Tu volgi il bacino, disarmi la bocca, io levo gli ormeggi, dinocco le gambe. Trattieni il respiro fin tanto ch’è notte, io poggio la tempia sull’anca rapita. Il femore alterno dimena le spire, fremendo di palpito già giugulare. Il collo sui denti diventa parlare, il seno e la spalla si vogliono armare di tante spiacevoli amare distanze, di anse svuotate già pronte all’invaso di gelido marmo alla prima marea. Le natiche atterrano di chetichella il sesso barbuto ch’è sempre piaciuto. Di spesse premure, di gomiti aperti, di volti scoperti al primo albeggiare. Tuffarsi nell’onda di scapola e addome, sentire il burrone, cadervi se piove. Tensione dei muscoli avvolti al torace del corpo che piace vedere e ammirare. Del timido sterno, preludio d’inverno, dell’ampia fiancata per corsa affannata, dell’utile piede che offerto a chi vede nasconde la forma del timido abbraccio, del dire “ti piaccio” spolpandosi affanno. Tradire l’inganno del corpo che pensa e fuggire di struscio, giocandosi a soffi la vita percossa, la notte riposta nel terzo cassetto, finito l’affetto e a letto disfato.

Una Risposta to “Kamas’urta”

  1. Tiziana ottobre 28, 2011 a 5:54 PM #

    ..bella!

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