Madido di amido
mi doro e mi domando
– mi dimeno non da meno –
domo dame del demonio?
Troppa lena buona pare
non comare ma commiato,
levo i tacchi in forma d’ozio
e mi svoglio d’erba e prato.
Mi dipano senza fretta,
friggo come cotoletta
nelle sere sparse d’olio,
nei mattini di spavento.
Non c’è vento, non c’è aria,
non c’è carne da macello.
Né cervello di pensiero
culatello passeggero.
Vergo i fogli in piroetta,
svelto il gorgo già m’aspetta.
Mi trattengono due rami di robinia,
m’abominia, mi dà pane una sventura.
Sali al bordo del vulcano
e sta’ attenta, parla piano,
che già pronto è il suo lapillo,
già carbonchio è pronta lava
per chi urlava di spavento
nel serpento di fuliggine precoce
che ti cuoce.
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